L’Ue avvia un’indagine contro i colossi del porno online: nel mirino le falle nei sistemi di verifica dell’età. Ma il vero rischio è spingere i ragazzi verso spazi ancora più pericolosi. Ecco perché servirebbe invece un maggiore investimento nell’educazione sessuale
La Commissione europea ha avviato ieri procedimenti formali contro quattro dei principali siti pornografici online – Pornhub, Stripchat, Xnxx e Xvideos – per sospette violazioni del Digital Services Act, in particolare sul fronte della protezione dei minori. Le indagini si concentrano sull’assenza di efficaci sistemi di verifica dell’età e sulla mancata adozione di strumenti adeguati per garantire un alto livello di privacy, sicurezza e tutela dell’infanzia.
Secondo una nota ufficiale, le piattaforme non avrebbero implementato misure appropriate e proporzionate per impedire l’accesso dei minori ai contenuti per adulti e per mitigare i rischi legati al benessere mentale e fisico degli utenti più giovani. Da Bruxelles precisano che non si tratta di censurare la pornografia, ma di garantire che esistano sistemi di verifica dell’età realmente efficaci e in linea con le normative europee.
«Lo spazio online dovrebbe essere un ambiente sicuro in cui i bambini possano imparare e connettersi fra loro», ha dichiarato Henna Virkkunen, vicepresidente esecutiva della Commissione europea per la sovranità tecnologica. «La nostra priorità è proteggere i minori e permettere loro di navigare in sicurezza».
Il punto è capire se tutto questo sarà davvero sufficiente a proteggere i minorenni da contenuti non adatti alla loro età, che spesso veicolano un’idea distorta di sessualità e relazioni. Mentre l’Unione europea tenta di porre un freno, almeno simbolico, al far west digitale, emergono già nuove frontiere della pornografia: spazi più nascosti, dove si sperimentano forme ancora più avanzate e difficili da controllare.
Esistono già siti che consentono di interagire con amanti virtuali generati dall’intelligenza artificiale, o strumenti in grado di rimuovere digitalmente i vestiti da qualsiasi foto, anche di minorenni. La pornografia circola su app come Telegram e Signal, ma anche su social network più visibili come X.
L’impressione è che Bruxelles voglia lanciare un messaggio forte, colpendo i siti più noti e frequentati, ma con il rischio di generare un effetto collaterale: spingere i minorenni verso le nuove frontiere del porno, dove i pericoli sono persino maggiori.
Questo caso solleva un tema più ampio: quanto è possibile, oggi, regolamentare ciò che nasce e prospera nel digitale? Dopo decenni di libertà estrema, chi tenta oggi di imporre delle regole si scontra con un sistema capace di trovare scappatoie quasi in tempo reale.
Sul fronte della pornografia, l’Italia è già un passo avanti. A metà aprile, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) ha introdotto per la prima volta un obbligo vincolante di verifica dell’età anagrafica per tutti i siti pornografici accessibili dall’Italia.
Le piattaforme avranno sei mesi di tempo per adottare soluzioni tecnologiche affidabili, come lo Spid o la carta d’identità digitale.
Questo modello, ispirato anche a esperimenti avviati in Francia, punta a trovare un equilibrio: da un lato proteggere i minori dall’accesso ai contenuti espliciti, dall’altro tutelare la privacy degli adulti.
Sarà poi compito dell’Agcom monitorare l’effettiva applicazione della norma.
A livello europeo, l’apertura del procedimento dà il via a una fase investigativa, che potrà concludersi con sanzioni molto pesanti per le piattaforme coinvolte, pari a fino al 6 per cento del loro fatturato globale. Le aziende potranno però adottare misure correttive per adeguarsi alle regole e tentare di evitare le multe.
Nel frattempo, gli stati membri, attraverso il Comitato europeo per i servizi digitali, hanno lanciato un’azione coordinata per vigilare anche sulle piattaforme pornografiche più piccole, soggette ai rispettivi coordinatori nazionali. L’obiettivo è costruire una protezione più diffusa, in grado di ritardare – almeno – l’età della prima esposizione alla pornografia.
Dietro tutto questo, resta però una domanda fondamentale: quanto potranno davvero funzionare queste barriere? I minori già oggi sanno usare le Vpn, strumenti che permettono di mascherare l’origine geografica della connessione, attraverso server remoti.
E, se i siti legali diventano inaccessibili, il rischio è che i più giovani si spostino verso canali alternativi – pirata, peer-to-peer, gruppi Telegram, darknet – dove i contenuti circolano senza filtri, né tutele. E dove la pornografia può assumere forme ancora più esplicite, violente o illegali.
Per questo l’approccio repressivo andrebbe affiancato da un investimento serio in educazione sessuale e affettiva. Il vero problema, a qualunque età, è quando la pornografia prende il posto della realtà. Serve insegnare a contestualizzare ciò che si vede online: il sesso reale non è quello performativo dei video.
Contano il consenso, il rispetto, le relazioni sane. E sono tutte cose che si possono imparare, con o senza barriere digitali.
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