Un modo per riequilibrare il carico delle faccende domestiche - Hélène Coutard  - Internazionale


Eve Rodsky's Fair Play method helps couples redistribute household tasks and mental load, improving relationships and well-being.
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È una storia che nasce dai mirtilli e ormai è famosa in tutti gli Stati Uniti. Nel 2011 Eve Rodsky vive in una bella casa a Los Angeles. Ha un marito, tre figli – di cui uno appena nato – e un impegnativo lavoro da avvocata. Un giorno, mentre sta salendo in auto, già in ritardo per andare a prendere il figlio più piccolo – con il tiralatte, una busta di pannolini sul sedile posteriore e un contratto importante sulle ginocchia – suo marito Seth le manda un sms: “Hai dimenticato i mirtilli”. Lei accosta al bordo della strada e scoppia a piangere.

Si chiede se è la fine del suo matrimonio. “La cosa più imbarazzante era che professionalmente la mia specializzazione era insegnare alle persone a comunicare. Passavo tutto il giorno a gestire famiglie che litigavano su questioni di eredità, come nella serie tv Succession. Eppure io non riuscivo a chiedere aiuto a mio marito. Avevo toccato il fondo”, ricorda oggi dallo schermo del suo computer questa californiana di 48 anni con la parlantina sciolta, un sorriso schietto e i lunghi capelli raccolti alla bell’e meglio.

Da allora Eve Rodsky si è rialzata e la relazione con il marito è rimasta in piedi. La donna ha tratto da questa esperienza il libro Come ho convinto mio marito a lavare i piatti (Vallardi 2020), che parla del carico mentale domestico e di come renderlo più equilibrato all’interno della coppia. Il libro ha venduto più di 250mila copie nei primi tre anni ed è stato per due settimane nella classifica del New York Times dei titoli più venduti. Un anno dopo, sulla scia del saggio, la donna ha creato un gioco di carte per aiutare le coppie a distribuirsi i compiti. Anche questo è stato un successo ed è spesso descritto sulla stampa statunitense come uno strumento in grado di permettere una vera e propria “presa di coscienza”.

Infine nel 2021 Eve Rodsky ha fondato il Fair play policy institute, un’organizzazione non profit che investe i profitti nella ricerca e che ha già formato centinaia di esperti. Negli Stati Uniti la donna è stata soprannominata la “Marie Kondō delle relazioni” per la sua capacità di fare pulizia all’interno delle coppie, in modo simile a quanto fa la scrittrice giapponese con gli armadi. Un lavoro non da poco: secondo uno studio dell’università britannica di Bath e di quella australiana di Melbourne, pubblicato nel 2024 sul Journal of Marriage and family, il 79 per cento delle donne dice di occuparsi dei compiti quotidiani (pulizie di casa e cura dei figli), mentre tra gli uomini solo il 35 per cento dice di farlo.

La realtà in un file Excel

Nel 2011, dopo la vicenda dei mirtilli, Eve Rodsky, che pensava di formare con suo marito una coppia moderna, aveva cominciato a vedere la sua situazione in modo diverso. “Mi sono resa conto di cose che prima non notavo. Un giorno sono andata insieme a nove amiche a una manifestazione per la sensibilizzazione sul cancro al seno e poi siamo andate a mangiare insieme. A mezzogiorno tutte abbiamo cominciato a ricevere messaggi dai nostri partner che ci chiedevano cosa fare per il pranzo dei figli, per le attività extrascolastiche e così via. In trenta minuti ho contato trenta telefonate e 46 sms per dieci donne”.

Ormai Eve Rodsky aveva una missione. Si è messa a leggere di tutto, scoprendo un articolo della sociologa statunitense Arlene Kaplan Daniel (1930-2012) sulla nozione di “lavoro invisibile” (Invisible careers. Women civic leaders from the volunteer world, 1988). “Così ho cominciato a farmi delle domande: cosa faccio che la mia famiglia non vede, ma che prende più di due minuti del mio tempo?”. L’avvocata ha creato un file Excel intitolato The shit i do spreadsheet (Lista delle rotture di palle) e lo ha inviato alle sue amiche, che a loro volta lo hanno inviato alle loro amiche. Alla fine il file conteneva più di duemila compiti invisibili per un insieme di migliaia di ore.

Rodsky si è poi lanciata in una nuova inchiesta: chiedere alle coppie eterosessuali le loro impressioni sulla divisione generale dei lavori domestici. Queste interviste sono finite nel libro Fair play, un insieme di ricerche, teorie e soprattutto soluzioni per comunicare meglio e riequilibrare il carico mentale domestico. Il libro e il gioco di carte che l’accompagna identificano cento compiti da fare in coppia (sessanta riguardano le incombenze di tutti i giorni, gli altri quaranta le cose da fare con i figli) e propongono un sistema per distribuirli, fatto di conversazioni settimanali e dell’adozione di un “minimo di requisiti” richiesto per lo svolgimento di ogni attività (cosa che comporta una discussione nella coppia).

Alla sua uscita nell’ottobre 2019 il libro è stato scelto dal gruppo di lettura dell’attrice e produttrice Reese Witherspoon, che è anche una stretta collaboratrice del marito di Rodsky, Seth Rodsky, la cui società d’investimento Strand equity ha finanziato la creazione della Hello sunshine, la sua società di produzione. E sarà proprio la Hello sunshine a produrre, nel 2022, il documentario Fair play, in cui Rodsky racconta le sue ricerche e incontra le coppie che “il metodo”, come lo chiamano i partecipanti, ha aiutato. Di fronte al successo del libro e del gioco, Rodsky ha messo da parte la sua carriera per dedicarsi interamente alla ricerca.

La svolta professionale è stata favorita anche dalla pandemia di covid-19, cominciata qualche mese dopo la pubblicazione del libro. Milioni di coppie si sono ritrovate chiuse in casa, in difficoltà di fronte agli obblighi casalinghi e alla gestione dei figli. “Parlavo di un’epidemia di donne in burn out, ma il lockdown ha accelerato tutto”, spiega Rodsky. “Passare la giornata a casa con i figli: quale occasione migliore per rendersi conto della distribuzione dei compiti e delle conseguenze sullo sfinimento di ognuno?”.

Nel 2021 il Fair play policy institute non aveva ancora una sede o dei dipendenti, ma aveva già formato quattrocento esperti. Tra loro Lucinda Gibbons, 38 anni, terapeuta che vive vicino a Boston, una delle prime “facilitatrici” a essere formata. Per raggiungere questo titolo bisogna seguire una formazione di dodici ore con il metodo Fair play, che costa 1.800 dollari (circa 1.600 euro).

La maggior parte delle persone che si iscrivono sono psicoterapeuti, coach o doule (professioniste che aiutano e sostengono le donne durante la gravidanza). “Ci spiegano perché la distribuzione disuguale dei compiti è da considerare un problema sistemico e non individuale, e quali conseguenze ha sulla stabilità delle coppie, sulla salute mentale o sullo stress”, racconta Lucinda Gibbons. “Poi si impara a usare il sistema con le carte. In realtà il gioco è solo un supporto per comunicare”.

In quanto terapeuta di coppia, Gibbons sente regolarmente parlare di obblighi domestici: “Spesso le persone si vergognano di sentirsi irritate a causa di queste cose. Hanno l’impressione di essere meschine e stupide, ma sono le cose di tutti i giorni che ci fanno più arrabbiare. Se una coppia ha un problema a proposito dei piatti da lavare, questa discussione può presentarsi quotidianamente”. Gibbons usa il metodo Fair play e a sua volta è diventata formatrice insieme a Rodsky.

La prima volta che sua moglie gli ha parlato del metodo Fair play, Mike Comforto, 42 anni, che lavora nel settore tecnologico a Miami, era piuttosto scettico: “Il libro è scritto da una donna ed è indirizzato a loro, quindi avevo paura che fosse molto critico nei confronti degli uomini”. Ma ammette che li ha salvati. “Mia moglie e io stiamo insieme da 17 anni. Eravamo caduti nelle abitudini e nella routine senza neanche rendercene conto”, sospira Comforto.

Dopo un primo figlio nel 2015 e un secondo nel 2019, Nicole Comforto, 42 anni, aveva cominciato ad avere la sgradevole sensazione di essere diventata la manager della casa. “Gestivo tutto e lui si limitava ad aiutarmi”, dice la donna. “Ci sono cose che Mike sa fare molto bene, ma dovevo ricordargliele in continuazione. Detestavo questo schema sessista in cui io ero l’autorità, dovevo pensare a tutto e incitarlo in continuazione a fare le cose. Fair play è arrivato al momento giusto, perché cominciavo a provare rabbia e frustrazione”.

Dopo la prima volta che hanno usato le carte, Mike ha finalmente avuto l’impressione di visualizzare tutto quello che c’era da fare in casa: “Non si vede mai quello che fa l’altro, si vede solo quello che si fa personalmente e questo crea delle tensioni”. Ormai Nicole e Mike Comforto si danno appuntamento tutte le settimane per redistribuire le carte e organizzare il programma della settimana. Ma per arrivare a fare questo ci è voluto del tempo.

Nel metodo Fair play ognuno riceve le carte dei suoi compiti (spesa, visite mediche, organizzazione dei viaggi, portare fuori la spazzatura e così via) e deve occuparsene da solo, dall’inizio alla fine, senza chiedere niente al partner. Lo scopo è quello di liberare completamente il convivente dal carico mentale delle attività che non lo riguardano. “Ci ho messo del tempo, mi vergogno addirittura a dire quanto, ad assumere veramente i compiti indicati sulle mie carte”, riconosce Mike. E il suo non è un caso isolato.

In molti gruppi sui social network legati al sistema Fair play non è raro che gli uomini siano presi di mira. “Pensavo che lui facesse più di me, ma da quando abbiamo provato le carte mi rendo conto che a casa faccio tutto io, e sono arrabbiata perché per tanti anni mi ha fatto credere il contrario!”, racconta una donna su un gruppo Facebook che riunisce migliaia di persone.

Lucinda Gibbons ricorda che “la transizione non è mai immediata”. “Per i ragazzi educati in un certo modo doversi impegnare di più nella sfera domestica è un trauma”, precisa la donna. Eve Rodsky ha anche cercato di quantificare i benefici del suo metodo: “Abbiamo realizzato uno studio su circa cinquecento persone che hanno provato il nostro sistema e pensiamo che le coppie che riescono a riequilibrare i compiti domestici vedono migliorare la loro salute mentale e diminuire il rischio di burn out”.

La frase che Eve Rodsky ha sentito più spesso durante i suoi incontri con le coppie, così come Lucinda Gibbons durante le sue consulenze, è: “Andava tutto bene, poi sono arrivati i figli”. “Tutte le coppie pensano di essere femministe, ma quando arrivano i figli ritornano a schemi più tradizionali”, spiega la terapeuta. “Perché negli Stati Uniti il congedo di paternità è spesso insufficiente o del tutto inesistente, perché di solito le donne guadagnano di meno e rinunciano quindi più facilmente a lavorare e così via”.

Anche se i funzionari federali hanno diritto a dodici settimane di congedo di paternità, durante il primo mandato di Donald Trump non si è arrivati una legge per estenderle a tutti gli altri. E nonostante le promesse dell’attuale vicepresidente JD Vance durante una manifestazione contro l’aborto il congedo di paternità non sembra essere una delle priorità della Casa Bianca.

Fare i conti con i cambiamenti nella dinamica familiare provocati dalla nascita del primo figlio è proprio quello che Erin e Peter Stover vorrebbero evitare. Vivono a Los Angeles, stanno insieme da otto anni e aspettano il loro primo bambino. “Vengo dal Nebraska, da un ambiente tradizionale. Durante la mia infanzia ho visto mia madre occuparsi di tutto e pagare il prezzo di questo stress”, racconta Erin Stover, 36 anni. Ha delle amiche che hanno smesso di lavorare una volta diventate madri. Ma lei, che è una dirigente nel settore del marketing, non ne ha nessuna intenzione.

La coppia utilizzava già il sistema Fair play da qualche anno, ma ora ha cominciato a studiare le carte dedicate ai compiti legati ai figli. La donna spera che grazie a questa preparazione la vita familiare si svolgerà diversamente rispetto all’organizzazione del loro matrimonio, in cui Erin aveva avuto l’impressione di essersi occupata di tutto. “Forse è colpa nostra in quanto donne, perché vogliamo che le cose siano fatte bene e quindi prendiamo in mano le cose”, sospira.

Il libro Fair play è stato tradotto in 17 paesi, in Europa esiste la versione spagnola, polacca, italiana, tedesca, ungherese e portoghese, ma non quella francese. “Quando il mio agente ha contattato degli editori a Parigi gli hanno risposto che le coppie francesi erano più paritarie e che non ne avevano bisogno”, racconta Eve Rodsky. “Eppure durante le mie ricerche ho intervistato una ventina di coppie francesi e le loro risposte erano più o meno simili a quelle delle coppie statunitensi”.

Del resto i dati sembrano confermare le sue affermazioni. In Francia, secondo la Direzione della ricerca, degli studi, della valutazione e delle statistiche (Drees) il 54 per cento delle donne dichiara di occuparsi in gran parte dei compiti domestici (spesa, pulizia, bucato) rispetto al 7 per cento degli uomini. Liza e Pierre (nomi di fantasia) sono una coppia da vent’anni e vivono a Limoges. Usano il metodo Fair play dalla nascita del loro secondo figlio, nel 2021. Liza, una franco-statunitense di 39 anni, ha scoperto il libro grazie alle sue amiche statunitensi: “Avevo l’impressione che negli Stati Uniti le mie amiche fossero entusiaste e curiose di questo metodo. In Francia invece per le donne è socialmente meno accettato ammettere di non farcela”. Perfezionista, Liza ha dovuto imparare a delegare: “Adesso riconosco che è meraviglioso abbandonare completamente il carico mentale e dirsi che ognuno ha il proprio modo di fare”.

Pierre ha adottato il metodo, anche se ha constatato che porta a un certo individualismo nella coppia: “Ognuno ha meno carico, ma al tempo stesso penso che questo metodo divida. È un po’ come se bisognasse pensare solo a se stessi e ai propri compiti, alla fine ci si aiuta di meno”. Ma Rodsky lo ricorda: lo scopo non è dividere tutto al 50 per cento. “Alle femministe non piace che dica questo, ma per me non bisogna calcolare le percentuali. Si tratta di un lavoro di squadra e lo scopo è la percezione di un rapporto di uguaglianza, raggiungere quello che sembra giusto per ogni coppia secondo il loro stile di vita”.

Un altro elemento fondamentale del sistema Fair play è la ricompensa, che Eve Rodsky chiama “tris della felicità”: tempo per sé, tempo per vedere gli amici e un unicorn space (uno spazio unicorno), cioè la possibilità di coltivare una passione, un’attività che ci piace. Erin e Peter Stover fanno sport, Mike e Nicole Comforto hanno approfittato del tempo risparmiato per scrivere insieme dei romanzi (delle commedie romantiche) e per dedicarsi alla loro newsletter dedicata ai genitori sulla piattaforma Substack. Liza e Pierre sono finalmente riusciti ad “avere delle serate insieme da soli, durante le quali nessuno dei due ha delle cose da finire”.

Nel 2021 Eve Rodsky ha fatto di questo bisogno fondamentale di mantenere un’attività per sé l’oggetto del suo secondo libro (Find your unicorn space). “Quando le donne sono travolte dalle responsabilità familiari perdono la loro identità”, osserva l’autrice. “Non sono più interessate alla loro vita. E quando arrivano a questo stadio si innesca una spirale negativa che porta al disprezzo di sé e alla depressione”.

Forte del suo successo con le coppie, l’impero Fair play ora vuole andare oltre il raggio d’azione delle famiglie e toccare la scuola, con un corso basato sulle ricerche dell’istituto, messo gratuitamente a disposizione dei professori per sensibilizzare gli studenti sulle disuguaglianze di genere nelle faccende domestiche; e il mondo del lavoro, con dei seminari a pagamento destinati alle aziende e dei facilitatori certificati Fair play per “rivoluzionare l’equilibrio casa-lavoro”.

In Francia, secondo un’inchiesta realizzata nel 2024 da Ifop news rse sul carico mentale domestico, l’84 per cento delle lavoratrici dipendenti in coppia e con figli dichiarava di provare un forte carico mentale. Forse le francesi dovrebbero interessarsi di più a questi problemi.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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