Saffo e le sue sorelle: donne eterne e dimenticate


The article explores the historical marginalization of women, focusing on notable female figures like Sappho and Enheduanna, who defied societal norms and left lasting legacies.
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Materia: questo sono le donne, o almeno così la pensava Aristotele, che aveva categorizzato il genere femminile in opposizione al maschile, composto di spirito e forma, e nato per governare sul logos. Si può rintracciare anche in questa definizione filosofica il motivo per cui, se ripercorriamo a ritroso il percorso della Storia, vediamo le figure femminili svanire, diventare inafferrabili, inconoscibili.

Esiodo nei suoi poemi racconta la creazione della prima donna, Pandora: «un male bellissimo», la punizione di Zeus perché Prometeo aveva rubato il fuoco agli dèi per darlo agli uomini. Prima di Pandora, vigeva sulla terra un’età dell’oro: gli uomini vivevano felici e immuni da qualunque tipo di male. Poi Pandora, usando la sua proverbiale capacità di sedurre, portò con sé, chiuse in un vaso che presto sarebbe stato aperto, tutte le sventure.

Ma questo è il mito, e sebbene Giambattista Vico sostenesse che il mito è «lo specchio della storia», è pur vero che spesso in questo specchio la realtà s’intravede capovolta, diametralmente opposta al vero. Nel mito la realtà diviene paradigma, ma anche presagio, parabola, enigma. Come scrive Roland Barthes in Miti d’oggi:

«Statisticamente il mito è a destra. Qui esso è essenziale; ben nutrito, lucente, espansivo, loquace, s’inventa senza tregua. S’impadronisce di tutto: le giustizie, le morali, le estetiche, le diplomazie, le arti domestiche, la Letteratura, gli spettacoli. (...) L’oppresso non è niente, ha in sé una parola sola, quella della propria emancipazione, padrona di tutti i gradi possibili della dignità (...) L’oppresso fa il mondo, ha solo un linguaggio attivo, transitivo (politico)».

Euripide nell’Ippolito: «Zeus, perché hai messo dunque fra gli uomini un ambiguo malanno, portando le donne alla luce del sole?». Ma la verità è che, per la gran parte della Storia, le reali figure femminili rimangono nell’ombra, sono frammenti tra le righe dei testi canonici, né malvagie né buone: solo marginali. Quelle che emergono come forti e indimenticabili sono solo personaggi da tragedia, interpretati da attori maschi sulla scena ateniese.

Come se l’unica nobiltà che le donne possano raggiungere sia nel soffrire. È un destino che le accomuna tutte, ed è la misura di un’obliterazione sistematica che ci costringe a un duro lavoro quando si cerca di intravederne le traiettorie e i profili. La polis greca si regge sull’esclusione programmatica di donne e schiavi. Nelle case esisteva come si sa il gineceo, lo spazio predisposto alla confinazione materiale delle donne.

Le donne che rischiavano di diventare «vergini canute» potevano essere vendute come schiave. Si era mogli, o schiave, o concubine, o prostitute: in ogni caso si era utili – e dunque legittimate a esistere – solo se si rispondeva in qualche modo alle esigenze maschili. I filosofi dibattevano addirittura su quale fosse, e se ci fosse, il contributo della donna nella procreazione, scartando a priori l’evidente ruolo demiurgico del corpo femminile.

Saffo

A Ereso però, città dell’isola di Lesbo, lontana dall’ordine della polis ateniese, nacque alla fine del VII sec. a. C. una donna che con la forza della sua poesia è riuscita a resistere alla marginalizzazione. Di lei non sappiamo molto, ma i suoi versi si sono imposti al di là della sua biografia, istituendo il lessico di un discorso amoroso che prosegue tuttora.

«C’è chi dice sia un esercito di cavalieri, c’è chi dice sia un esercito di fanti, / c’è chi dice sia una flotta di navi sulla nera terra / la cosa più bella, io invece dico / che è ciò che si ama». Saffo: educatrice, poetessa, amante del bello e del sapere. Saffo è stata testimone di un mondo in cui l’eros omoerotico femminile non era un’eccezione, né tanto meno qualcosa di scandaloso, ma una parte integrante del processo educativo. Attraverso l’arte, la grazia, la bellezza, passava anche il desiderio. Il desiderio dei corpi, il desiderio del piacere. Nel suo tiaso si imparava anche ad amare.

Nella Grecia arcaica l’omoerotismo femminile era una lingua attraverso cui si tramandava il sapere. Una lingua che non escludeva il matrimonio – che era pur sempre l’obiettivo finale – ma lo precedeva, lo completava, lo compenetrava. Anzi, il rapporto omoerotico era, in qualche modo, uno spazio dove l’essere umano greco, sia femminile che maschile, conservava una delle parti migliori di sé, quella libera dai vincoli contrattuali delle unioni consuete.

C’è una forza così specifica e irruenta nelle liriche della poetessa di Lesbo che le ha permesso di evitare l’oblio. Ha detto l’amore e lo ha detto meglio di tutti. In tanti si sono affannati (a partire da Catullo) cercando di ricalcare i versi di «A me pare uguale agli dei / chi a te vicino così dolce / suono ascolta mentre tu parli / e ridi amorosamente. Subito a me / il cuore si agita nel petto / solo che appena ti veda, e la voce / si perde sulla lingua inerte». Poetessa immensa, non fu certo la sola. Di altre poetesse restano poco più che i nomi: Mirtide di Antedone, maestra di Pindaro; Telesilla, poetessa e guerriera; Kleitagora, che veniva chiamata l’“Omero femmina”.

Molte probabilmente non hanno mai avuto il diritto di approdare a un nome in cui “rimanere”: sono state assorbite dai buchi neri della Storia. Intorno alle crepe dove sono cadute possiamo abitare, guardarci dentro, allargarle: provare a farle diventare voragini.

Prima scrittrice della storia

Prima di Saffo, addirittura prima di Omero, il cantore cieco più famoso della storia, c’era una poetessa donna che invece ci vedeva benissimo. Si chiamava Enheduanna, e da ciò che sappiamo fu la prima ad avere l’ardire di firmare le sue opere. (Sì, potremmo far iniziare qui la volontà di lasciare una traccia di sé al mondo impugnando una penna).

Ma Enheduanna, figlia di Sargon di Akkad, fondatore nel (circa) 2334 a. C. dell’impero accadico, non aveva alcuna intenzione di restare nell’ombra. Sacerdotessa del dio An per la città di Uruk, ebbe una fervente attività politica. La sua opera più importante è conosciuta come L’esaltazione di Inanna, divinità sumera della bellezza, della fecondità e dell’amore.

Travestirsi da uomo

Ma facciamo un salto in avanti. Atene, IV sec. a. C.: la legge non permette alle donne di praticare la medicina. Ma Agnodice, ragazza ateniese, non lo accetta, e così si taglia i capelli, indossa abiti maschili, e parte per Alessandria, dove fingendosi un uomo si formerà come medico. Un Orlando antico, con la parabola capovolta. Sentiamo echeggiare da Agnodice una volontà irrefrenabile di prendersi il mondo.

Per un crimine simile morì Giovanna D’Arco, travestitasi da uomo per combattere gli inglesi, ma già secoli prima di lei, secondo un antico poema cinese, Hua Mulan invece divenne un’eroina perché travestita da uomo sconfisse un importante generale Unno. Le sorelle Brönte pubblicheranno sotto pseudonimi maschili e, ancora negli anni Sessanta del Novecento, Margaret D. H. Keane renderà pubbliche le sue opere d’arte sotto il nome del marito (l’ha raccontato Tim Burton in Big Eyes).

E nel regno della fantasia Arya Stark si fingerà a lungo uomo nella sua fuga da Approdo del Re. Travestimenti non spinti dal desiderio, ma dalla funzionalità dell’essere maschio. Agnodice tornerà ad Atene, e resterà uomo per continuare a esercitare, specializzandosi in ostetrica e ginecologia per aiutare le donne ateniesi. Quando sarà scoperto il suo segreto, le autorità ateniesi saranno costrette a cambiare la legge.

Le altre

Ci sono donne la cui morte racconta più della loro vita. A esempio Ipazia, matematica, astronoma, filosofa, direttrice della scuola platonica di Alessandria, che finì per morire travolta dal fanatismo cristiano. Così come le streghe, le donne censurate del profondo medioevo. Ci sono donne che non sono state altro che mogli, come Teano, il fantasma che si nasconde dietro il nome del più famoso marito: Pitagora.

L’elenco delle donne del passato assorbite dal nome dei mariti è così lungo da risultare impossibile da determinare. Come scrive Virginia Woolf: «Per la maggior parte della storia, l’anonimo era una donna». Fortunatamente la Storia non è immutabile e, soprattutto, non è finita.

© Riproduzione riservata

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