I danni irreversibili dei dazi di Trump - Alessio Marchionna - Internazionale


Trump's tariffs are causing irreversible damage to the US economy, potentially leading to shortages and impacting consumer confidence, while also weakening America's global influence.
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L’amministrazione Trump ha passato le ultime settimane a cercare di annullare o quantomeno smussare le conseguenze economiche della guerra dei dazi lanciata a inizio aprile e poi subito sospesa. I segnali di una potenziale crisi dell’economia statunitense sono dovunque, e alla Casa Bianca si affannano a tappare le falle.

Giorni fa il presidente, parlando della possibilità che lo scontro commerciale causi una carenza di alcuni prodotti, ha detto che “forse le bambine dovranno accontentarsi di due bambole invece di trenta”. Giorni prima a quanto pare aveva telefonato personalmente a Jeff Bezos per lamentarsi della decisione di mostrare il costo dei dazi statunitensi accanto al prezzo dei prodotti in vendita su Amazon, convincendolo a fare marcia indietro. E il 30 aprile ha firmato un ordine esecutivo con cui ha ridotto alcuni dazi imposti alle industrie automobilistiche che lavorano nel paese (l’industria automobilistica statunitense dipende moltissimo dall’estero e ha tanto da perdere da una guerra commerciale).

Nel frattempo ogni giorno i collaboratori di Trump cercano di rassicurare i consumatori, i mercati, le imprese, i possessori di titoli di stato e chiunque altro abbia ragioni per essere preoccupato dalle prospettive economiche degli Stati Uniti. Ma a questo punto è come cercare di rimettere il dentifricio nel tubetto.

A causa delle preoccupazioni sui dazi, il livello di fiducia dei consumatori è il più basso dai tempi della pandemia di covid. Le aspettative sull’andamento dell’economia nei prossimi sei mesi sono le più basse degli ultimi dieci anni. Nei primi tre mesi dell’anno il pil degli Stati Uniti si è ridotto dello 0,3 per cento rispetto all’ultimo trimestre del 2024, dopo che in quel periodo aveva registrato una crescita del 2,4 per cento, un dato causato anche dai timori delle aziende statunitensi per i dazi.

Ma le conseguenze veramente negative della gestione economica di Trump devono ancora arrivare. Ha spiegato Bloomberg: “Da quando gli Stati Uniti hanno aumentato i dazi sulla Cina al 145 per cento, all’inizio di aprile, le spedizioni di merci in arrivo dal paese asiatico sono crollate, secondo alcune stime addirittura del 60 per cento. Questa drastica riduzione delle merci provenienti da uno dei maggiori partner commerciali degli Stati Uniti non è stata ancora avvertita da molti statunitensi, ma la situazione sta per cambiare. Entro la metà di maggio migliaia di aziende, grandi e piccole, avranno bisogno di rifornire le scorte. Giganti della vendita al dettaglio come Walmart e Target hanno comunicato a Trump in una riunione la scorsa settimana che i consumatori potrebbero trovarsi di fronte a scaffali vuoti e prezzi più alti. Torsten Slok, capo economista di Apollo Management, ha recentemente messo in guardia da una carenza di beni simile a quella causata dal covid e da licenziamenti significativi in settori come l’autotrasporto, la logistica e la vendita al dettaglio”.

Trump ha mostrato di essere disposto ad ammorbidire la sua posizione sui dazi alle importazioni da Cina e altri paesi, ma potrebbe essere troppo tardi per impedire che lo shock dell’offerta si ripercuota sull’economia statunitense fino a Natale. Anche in caso di una tregua tra i due paesi, la ripresa del commercio transpacifico comporterà ulteriori rischi. “Il settore del trasporto merci ha ridotto la sua capacità di adeguarsi alla domanda più debole”, continua Bloomberg. “Questo significa che un’impennata degli ordini innescata da una distensione tra le superpotenze rischia di sovraccaricare la rete, causando ritardi e aumentando i costi. Uno scenario simile si è verificato durante la pandemia, quando i prezzi dei container sono quadruplicati e un eccesso di navi da carico ha congestionato i porti”.

I danni economici che gli Stati Uniti si sono autoinflitti in soli tre mesi saranno difficili da annullare anche perché, combinati con le politiche isolazioniste di Trump, stanno accelerando il declino dell’influenza degli Stati Uniti nel mondo. Il leader cinese Xi Jinping sta cercando di sfruttare la svolta protezionistica statunitense per posizionare meglio Pechino come difensore del libero scambio e nuovo leader del sistema commerciale globale.

Pensiamo all’Africa. Trump ha smantellato l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, che forniva cibo e assistenza sanitaria ai paesi più poveri, e ha proposto di eliminare quasi tutte le missioni diplomatiche nel continente. Questo creerà un vuoto che consentirà alla Cina di consolidare la propria posizione per avere accesso ai diritti minerari. Un’altra regione stretta tra Stati Uniti e Cina è il sudest asiatico. Dopo che Trump ha minacciato l’introduzione di dazi potenzialmente rovinosi sulle economie orientate all’esportazione – come Vietnam, Bangladesh e Indonesia – Pechino ha colto l’occasione per rafforzare i legami con quei paesi. Intanto anche storici alleati occidentali, come Canada ed Europa, ragionano su come diversificare le loro alleanze economiche e commerciali.

Infine gli attacchi al mondo della ricerca rischiano di compromettere il vantaggio competitivo degli Stati Uniti nel mondo scientifico. “Secondo il National center for science and engineering statistics, il governo federale finanzia circa il 40 per cento della ricerca a lungo termine che è alla base delle innovazioni tecnologiche e scientifiche degli Stati Uniti”, scrive il New York Times. “L’amministrazione Trump sta tagliando miliardi di dollari in sovvenzioni a università, scienziati e ricercatori, compromettendo il lavoro su temi come i rischi ambientali, il controllo delle malattie, i programmi sul clima e l’energia pulita, l’elaborazione informatica, l’agricoltura, la difesa e l’intelligenza artificiale. Ha tagliato i fondi per il lavoro sulla sicurezza informatica che protegge la rete elettrica, le condutture e le telecomunicazioni. Migliaia di esperti sono stati licenziati. Le istituzioni temono una fuga di cervelli, perché i ricercatori statunitensi e stranieri si rivolgono altrove per ottenere sovvenzioni, posti di lavoro e libertà accademica”.

Ma allora perché Trump sta facendo tutto questo? Volendo cercare un’idea “razionale” dietro i suoi tentativi di buttare giù a picconate l’ordine mondiale, si può immaginare che sia spinto dal timore di perdere la corsa con la Cina come principale potenza mondiale. Convinto che alle attuali condizioni gli Stati Uniti siano destinati alla sconfitta, pensa di poter creare un nuovo quadro con condizioni più favorevoli e convincere Pechino ad accettarlo con la forza.

Secondo la maggior parte degli esperti è un grosso azzardo, innanzitutto perché sottovaluta ulteriori danni che gli Stati Uniti potrebbero autoinfliggersi in uno scontro sempre più acceso con la Cina. Uno, di cui si parla poco, riguarda il ruolo svolto da Pechino come investitore internazionale e acquirente del debito statunitense. Il New York Times ha sentito Antony Hopkins, docente di storia a Cambridge: “Se l’accesso della Cina al vasto mercato di consumo statunitense venisse fortemente limitato, si rischierebbe di compromettere la sua capacità di investire in titoli del tesoro statunitensi, cosa che avrebbe conseguenze molto negative per il sistema economico e finanziario americano”.

A un livello più profondo, altre condizioni sembrano favorire Pechino. Non solo quelle politiche e demografiche (una popolazione molto più numerosa e un governo che non deve preoccuparsi delle conseguenze delle sue scelte in termini di consenso), ma anche altre che riguardano la natura delle due società. Ne ha parlato Andrew Marr sul New Statesman: “I cinesi sono più abituati alle difficoltà. La classe media vive una situazione di prosperità, ma ricorda i periodi lunghi e difficili vissuti in passato. Gli statunitensi possono avere convinzioni politiche e religiose, ma sono fondamentalmente dei consumatori. I leader del movimento Make America great again possono pensare che le persone comuni condividano la loro visione romantica del destino manifesto della nazione e siano pronte a fare sacrifici per riconquistarlo.

Ma è veramente così? Il consumismo, figlio dell’individualismo liberaldemocratico, si è finora dimostrato profondamente antipatriottico. Durante la seconda guerra mondiale si chiedeva alle persone di non comprare auto tedesche o moto giapponesi. Non ha funzionato, e non funzionerebbe oggi. Se le auto elettriche cinesi sono più economiche, la gente le comprerà. Le famiglie statunitensi possono essere esortate a stringere la cinghia e a tenere duro nel confronto con la Cina, ma la maggior parte di loro si preoccuperà di più del prezzo dei propri smartphone e degli elettrodomestici, dell’inflazione e del lavoro”.

Giorni fa il New York Times ha pubblicato un’infografica che aiuta a capire quanto lo statunitense medio sia dipendente dai prodotti cinesi. Molti beni di prima necessità sono importati quasi interamente dalla Cina (praticamente tutto quello che gli americani usano in cucina o in bagno, i fuochi d’artificio con cui si festeggia il giorno dell’indipendenza, i passeggini), difficilmente possono essere rimpiazzati dalla produzione interna e con l’introduzione dei nuovi dazi è probabile che diventeranno più costosi.

Non sorprende quindi che la Cina non si sia fatta intimidire quando Trump ha fatto la voce grossa sui dazi e che stia temporeggiando a proposito dei negoziati con Washington. Anche Pechino ha interesse a trattare e ad abbassare la tensione: l’economia mostra segni di debolezza, per via della crisi immobiliare e della sfiducia dei consumatori, gli Stati Uniti restano comunque il singolo mercato più importante per le esportazioni cinesi e i prodotti non esportati in America difficilmente possono essere dirottati altrove, vista la frustrazione crescente in molti paesi per come la Cina inonda i mercati nazionali di beni a basso costo.

Ma Xi Jinping, come Putin nelle trattative sulla guerra in Ucraina, ha capito che più passa il tempo più Trump sarà impaziente di raggiungere un accordo, per via delle pressioni finanziarie negli Stati Uniti e per i sondaggi che rivelano l’insoddisfazione della maggior parte degli americani per la gestione dell’economia da parte di Trump.

Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.

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