Canapa, primo ricorso contro il decreto sicurezza. La Ue: “Disapplicare la norma, se è stata violata la direttiva” - Il Fatto Quotidiano


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Legal Challenge to Italian Security Decree

Italian hemp producers are filing a lawsuit against Article 18 of Italy's new security decree, which prohibits the sale and processing of hemp inflorescences. This is argued to violate EU's Single Market Transparency Directive (1535/2015), as the Italian government failed to notify the European Commission of the law before enactment.

EU's Response and Potential Outcome

The European Commission has acknowledged the potential violation of the directive and indicated in a letter that national courts can refuse to apply national laws adopted without proper notification. The legal action seeks to invalidate Article 18, highlighting the similar situation with the now-defunct ban on cultivated meat. The outcome could significantly impact Italy's hemp industry and 30,000 related jobs.

Key Players and Actions

The legal action is spearheaded by Canapa Sativa Italia (CSI) and Imprenditori Canapa Italia (ICI), with support from Italian parliament member Stefano Vaccari. The case, focusing on the lack of prior notification to the European Commission, could set a precedent for future legal challenges against similar regulations.

  • Lawsuit filed in Florence's Court of Appeal
  • Concerns about criminalization of hemp businesses
  • Potential job losses: 30,000 workers at risk
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Lo stesso errore della legge sulla carne coltivata: nessuna comunicazione a Bruxelles da parte del governo Meloni. Lo sostengono le imprese della canapa in lotta per la sopravvivenza, per via del decreto sicurezza che rade al suolo la filiera. Il ricorso al tribunale civile è pronto: la notifica per un’azione di accertamento sarà depositata oggi, presso la corte distrettuale d’appello a Firenze. L’incarico è stato conferito ai legali Giacomo Bulleri e Giuseppe Libutti.

L’azione è sostenuta dalle associazioni Canapa Sativa Italia (CSI) e Imprenditori canapa Italia (ICI). Martedì, dopo la pasquetta, per annunciare l’inizio della battaglia legale, si terrà la conferenza stampa alla Camera dei deputati. La sala è stata prenotata dall’onorevole Stefano Vaccari, capogruppo del Partito democratico in commissione Agricoltura.

È il primo passo della lotta per non chiudere bottega. L’articolo 18 del decreto sicurezza vieta “l’importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l’invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze della canapa”. Il motivo? Evitare “comportamenti che espongano a rischio la sicurezza o l’incolumità pubblica ovvero la sicurezza stradale”. Come se il fiore della canapa , ricco di cannabidiolo ma con Thc entro lo 0,5%, fosse uno stupefacente. Dunque gli imprenditori temono l’incriminazione per detenzione o spaccio di droga. Risultato: delocalizzano all’estero o chiudono bottega. A rischio ci sono 30mila lavoratori: 10mila assunti in pianta stabile e 20mila stagionali, impiegati da maggio a dicembre nei campi della canapa per la semina, la raccolta e le prime lavorazioni. Le aziende della filiera sono circa 3mila: 1.600 quelle agricole, 800 negozi di cannabis light, 600 le imprese di trasformazione. Tutti in lotta per la sopravvivenza.

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La mossa iniziale è al tribunale civile. Gli imprenditori denunciano la violazione della direttiva europea Single market transparency directive, la numero 1535 del 2015. L’articolo 5 del provvedimento impone agli stati di comunicare, alla Commissione europea, ogni progetto di regola tecnica, qualora possa incidere sugli scambi commerciali. Una norma a tutela del mercato unico: palazzo Berlaymont, infatti, deve informare gli altri Stati membri sul progetto allo studio, per raccogliere eventuali obiezioni. È la procedura Tris: quando la Commissione riceve la notifica, l’adozione della nuova norma deve essere rinviata di tre mesi, dice l’articolo 6 della direttiva. Invece il governo italiano ha tirato dritto ignorando gli obblighi di trasparenza verso Bruxelles, sostengono le associazioni della canapa. Dunque ricorrono in sede civile.

Le imprese si sentono incoraggiate da una email della Commissione europea all’indirizzo di Raffaele Desiante, presidente Ici, datata 11 aprile. La missiva è firmata dalla Direzione Generale per il Mercato Interno, l’Industria, l’Imprenditoria e le Pmi (un ufficio della Commissione Ue). Desiante aveva interpellato Bruxelles il 14 marzo, invitando l’esecutivo europeo a verificare la compatibilità dell’articolo 18 con il diritto comunitario. I funzionari gli rispondono citando le pronunce della Corte di giustizia “sulle conseguenze, rispettivamente, della mancata notifica di una regola tecnica e dell’adozione di una regola tecnica, in violazione degli obblighi previsti” dalla direttiva del 2015. “I privati ​​possono invocare gli articoli 5 e 6 dinanzi al giudice nazionale, il quale deve rifiutare di applicare una regola tecnica nazionale adottata in violazione dell’obbligo di notifica”.

Traduzione: se il governo avesse violato le regole europee, salterebbe l’articolo 18 che azzera la filiera. Un pasticcio simile era già accaduto con il divieto della carne coltivata: la legge fu approvata l’1 dicembre 2023, prima che la Commissione potesse esaminare il testo. L’uno febbraio 2024 la Commissione certificò la violazione delle procedure Tris, paventando la disapplicazione della legge da parte dei giudici. Non ce n’è bisogno: la carne coltivata non si trova nei negozi. La cannabis light sì.

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