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di Sara Tirrito
Secondo lo European workforce study 2025 di Great place to work lâItalia è la peggiore dâEuropa per capacità di trattenere i lavoratori e il 40% degli italiani sta pensando di cambiare impiego contro una media del 31% dei Paesi Ue
Va allâItalia il primato europeo per incapacità di trattenere i talenti. Un trofeo certificato dallâindagine European workforce study 2025 di Great place to work, secondo cui il 40% dei lavoratori su scala nazionale ha dichiarato di voler cambiare impiego contro una media europea del 31% e con il picco tra le fasce più giovani, tra i 18 e i 24 anni. Stipendi fermi e scarsa formazione sono tra le cause principali dellâinsofferenza dei dipendenti, ma pesa soprattutto lâincapacità dei leader, che secondo Great place to work non sanno ascoltare i dipendenti.
Lo studio
Condotta su 25 mila collaboratori da 19 Paesi dâEuropa, lâindagine parte da una domanda: «Cercherai un nuovo lavoro questâanno?». Se in Danimarca, Svizzera, Norvegia, Paesi Bassi, Germania e Austria la maggior parte degli intervistati è contento del posto in cui si trova e non sta cercando altro, in Italia 4 dipendenti su 10 vorrebbero cambiare occupazione, il 21% ci sta pensando e il 39% sta bene dovâè. Il desiderio di abbandonare il posto è più vivo nei giovani (che secondo alcuni esperti, vanno via soprattutto se non sono seguiti nelle fasi di inserimento). A farli scappare è la scarsa capacità da parte degli imprenditori di fidelizzarli, aspetto trasversale ai Paesi e che corrisponde al 36% degli intervistati tra i 25 e i 34 anni. «In Italia câè un problema di leadership più grave che nel resto dellâUe - spiega il presidente di Great place to work Italia Beniamino Bedusa -. Ai manager non mancano le competenze ma il loro rapporto con i dipendenti non funziona, non sanno valorizzarli». Secondo i dati del gruppo, nel nostro Paese solo il 44% degli impiegati si fida del proprio capo contro un tasso di stima del 64% nel Nord Europa. «Gli imprenditori non hanno capito che devono prendersi cura dei collaboratori, evitare di controllarli di continuo, dare loro fiducia e far capire come si raggiungono gli obiettivi».
Il quiet quitting
Il tasso di abbandono scende al 30% nella fascia 35-44 anni e la quota si assottiglia con lâaumentare dellâetà , arrivando al 25% tra gli over 55. «Rimanere nella stessa impresa però non è quasi mai una scelta incondizionata - spiega Bedusa -, la maggior parte delle volte è influenzata dalla mancanza di alternative, soprattutto nei territori con minore occupabilità ». La conseguenza è il quiet quitting, il fenomeno per cui i dipendenti insoddisfatti rimangono al loro posto nonostante siano infelici, riducendo il loro impegno nelle mansioni che svolgono. «Questo si verifica di più in Italia perché non câè un turnover ma avere i quiet quitters in azienda alimenta la negatività ».
I problemi da risolvere Â
La generazione Z è quella che sta subendo più la mancanza di allineamento tra i vertici e il resto dellâazienda. «I manager non capiscono più i giovani, i loro valori, e non riescono ad adattarsi a concetti come la tutela del benessere psicologico sul lavoro o lâequilibrio con la vita». Secondo la survey di Great place to work Italia sono otto i punti su cui le aziende devono lavorare per attrarre gli lavoratori. Oltre a garantire uno bilanciamento con la vita privata, bisogna migliorare le condizioni salariali: «Lo stipendio è importante perché è un riconoscimento concreto al valore della propria professionalità », spiega Bedusa. Per prevenire lâabbandono poi bisognerebbe rafforzare le relazioni attraverso colloqui e feedback, rimuovere le barriere organizzative e avere la possibilità di crescere allâinterno delle aziende con formazione e opportunità professionali. Câè poi lo smart working, parte dalla flessibilità che Great place to work consiglia di non negare.

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16 aprile 2025
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